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Mps e Lehman Brothers: La differenza è politica
«Too big to fail»: troppo grosso per fallire. Sei anni fa, all'inizio dell'autunno, dall'altro capo dell'Atlantico falliva la Lehman Brothers
Da Avvenire
di Andrea Giacobino
«Too big to fail»: troppo grosso per fallire. Sei anni fa, all'inizio dell'autunno, dall'altro capo dell'Atlantico falliva la Lehman Brothers. Era una delle più importanti banche d'affari di Wall Street: la grande crisi del mercato immobiliare americano l'aveva messa in ginocchio. Né il governo americano di allora né la Federal Reserve, la banca centrale a stelle e strisce, alzarono un dito per impedire il crack e così la Lehman Brothers dichiarò il "Chapter 11", cioè il fallimento.
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Non era troppo grossa.
Sono passati sei anni da quello che è stato l'epicentro del lungo terremoto sui mercati finanziari le cui scosse ancora non si sono fermate e scopriamo in Italia un caso che si avvicina.
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È il Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica del mondo fondata nel 1472, il cui valore di borsa è crollato a nemmeno 4 miliardi di euro e la cui azione è precipitata nel giro degli ultimi 6 mesi da oltre 2,5 euro a poco più di 50 centesimi. Un disastro che si aggiunge agli errori degli anni precedenti quando la banca, sotto l'influenza del Pci prima e Pds poi si lanciò in spericolate operazioni di acquisto di altri istituti, strapagandoli come l'Antonveneta.
Due anni fa il bubbone esplose.
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Alcune manovre per coprire i buchi di bilancio e assicurare comunque un dividendo al principale azionista, la Fondazione Mps, massima espressione del poter politico locale, emersero in tutti i loro effetti devastanti. La magistratura aprì un'indagine, arrestò l'allora presidente e l'ad che vennero sostituti, rispettivamente, da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola.
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Sembrava l'inizio della rimonta anche grazie ai soldi pubblici prestati dal governo Monti. Non è stato così. Oltre al disastro in borsa, Mps tra 2012 e 2015 manda a casa 4.600 lavoratori. Pagano i dipendenti, ma anche gli azionisti: l'aumento di capitale da 5 miliardi di euro dell'inizio di quest'anno vede quasi azzerato il peso della Fondazione ed entrare nuovi soci, fondi e banche sudamericane.
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Adesso però servono altri soldi: 2,5 miliardi perché per la Bce i conti non sono ancora in sicurezza.
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Perché il Monte non può fallire? Non perché è troppo grosso. Ma perché, per la stessa ragione politica, dopo anni di dissesto non è fallita la compagnia di bandiera Alitalia che poi è stata quasi tutta venduta agli arabi di Etihad.
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Adesso su Siena si allungano le mani dei cinesi che da Hong Kong hanno fatto una strana offerta che vale 10 miliardi, mentre si è scatenato il toto-nomi di quale sarà la banca italiana (Intesa?) o straniera (Bnp Paribas? Santander?) che con l'aumento di capitale farà un boccone di Mps. In questo scenario fantascientifico Profumo e Viola si fanno belli di poter ripagare il prestito dello stato e sperano così di essere riconfermati ai vertici in primavera.
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Quando, presumibilmente, l'Italia avrà perso un'altra banca e anche l'occasione che aveva avuto di farla fallire prima, limitando i danni poi pagati da tutti a caro prezzo.