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Banche, dopo gli esami le fusioni

Cinque Istituti italiani nel mirino. Poteva mancare MPS?

Banche, dopo gli esami le fusioni

Da Repubblica.it


IL 26 OTTOBRE PROSSIMO SARANNO RESI NOTI I RISULTATI DEGLI STRESS TEST E DELL’ASSET QUALITY REVIEW: PROBABILE UN CONSOLIDAMENTO DEL SETTORE CHE NEL NOSTRO PAESE POTREBBE TOCCARE MPS, CARIGE, BANCA MARCHE E DIVERSE POPOLARI

Milano G li orali dell’esame di Vigilanza bancaria europea hanno inizio. Da oggi i capi delle 120 banche avviate alla supervisione unica della Bce saranno convocati, uno alla volta, a Francoforte per ricevere i primi ragguagli sulle due prove (qualità degli attivi e tenuta dei bilanci sotto stress) che da sei mesi tengono in tensione l’Europa del credito. Sarà un passaggio epocale, forse il più importante dall’introduzione della valuta unica. E materializzerà, visto dall’Italia, lo scenario di fusioni e acquisizioni che autorevoli interlocutori trovano probabile; perché le richieste dei regolatori, unite alle nuove condizioni del mercato creditizio, renderanno improbo gestire in solitaria diversi istituti nostrani. Tra gli assertori anche Alessandro Profumo, presidente di Mps (e uno che di banche ne comprò una ventina, nel decennio d’oro di Unicredit): «Bisognerà vedere i risultati dei test Bce - ha detto a Les Echos - Personalmente credo che il sistema italiano non sfuggirà a una nuova ondata di aggregazioni poiché è troppo frammentato. Detto ciò Monte dei Paschi ha la capacità di restare indipendente ». Tra chi potrebbe doversi trovare un partner strategico, nel mutato contesto, i nomi più ripetuti - benché siamo alle mere ipotesi - sono Monte dei Paschi, Banca Carige, Banca delle Marche, Veneto banca, Popolare dell’Etruria, Popolare di Cividale. E scendendo di taglia tra le piccolissime Bcc la concentrazione

da anni preconizzata potrebbe davvero aver luogo. Il passaggio alla nuova Europa bancaria durerà un anno, e avverrà per tre stadi successivi. Tra un mese circa l’articolata comunicazione al mercato, e i suoi effetti sulle emissioni quotate. Da novembre l’avvio delle azioni di rimedio per le banche che riveleranno carenze patrimoniali: stando alla media degli operatori che si sono espressi fin qui, potrebbero essere circa un decimo delle 120 scrutinate, e dovranno strutturare rafforzamenti per qualche decina di miliardi, con annesse inevitabili concentrazioni nel settore.

Terminata anche la seconda fase - e saremo a 2015 inoltrato - le banche usciranno dalla modalità “test” per tornare a focalizzarsi sull’agenda vera; verranno al pettine i nodi operativi che, parlando delle 14 italiane sotto esame, sono credito, funding, contratto di lavoro, redditività. Negli incontri a quattr’occhi che partono oggi i funzionari centrali non forniranno numeri, bensì valutazioni di massima, spunti critici. E i banchieri avranno una quindicina di giorni per rispondere.

Terminato il confronto - e giunti intorno alla quarta settimana di ottobre - si entrerà nel vivo della comunicazione dei risultati. Un passaggio delicato, sia per le inevitabili asimmetrie informative e indiscrezioni ex ante sia per l’esigenza, a cose fatte, che gli investitori interpretino nel modo più rapido e corretto possibile la mole di dati su cui basare il nuovo contesto competitivo europeo nel settore. Già da settimane l’Esma che raggruppa i regolatori di mercato si sta coordinando con le banche centrali, per giungere a un compromesso ottimale tra le esigenze di trasparenza (care ai primi) e quelle di stabilità cui mirano i creditori.

L’ipotesi cui si lavora attualmente prevede la consegna dei risultati agli istituti giovedì 23 ottobre a mercati chiusi, e un tempo di almeno 48 ore per interpretarli e corredarli dell’importante background, prima di renderli pubblici, si reputa tra sabato 25 e domenica 26. Modi e forme dell’informativa sono importantissimi: vediamo perché. I quattro numeri che l’Eba e l’Eurotower forniranno a ogni banca riguarderanno il fabbisogno di capitale primario Cet1 derivante dall’Asset quality review, il deficit risultante dai test sotto stress (entrambi sui dati di bilancio 2013) e il risultato composto (così detto join in); in più le eventuali ricapitalizzazioni effettuate alla data di rilascio. Numeri di rilievo, ma numeri parziali, a valenza statistico-empirica.

Non si tratta di dati contabili vidimati, e per giunta saranno da integrare con i rafforzamenti patrimoniali degli ultimi mesi (in cui le 14 italiane sotto esame sono state protagoniste, con aumenti per una quindicina di miliardi). Soprattutto, andranno conteggiati i rafforzamenti patrimoniali avulsi dagli aumenti, come dismissioni, tesaurizzazioni di utili e simili: solo un esame complesso e onnicomprensivo farà capire agli analisti finanziari chi è realmente a posto e chi invece deve ricorrere alle remedial actions. «Ricalcolare gli attivi patrimoniali in 48 ore sarà tutt’altro che facile», fa notare un regolatore.

Per agevolare il processo si stanno spendendo i regolatori dei mercati d’Europa. Tra cui la Consob, che il 18 settembre ha inviato alle 14 banche italiane interessate una lettera con le procedure scelte per gestire le fughe di notizie. Soprattutto Consob sta cercando di convincere gli istituti italiani ad agevolare al massimo una comprensione contestualizzata dei dati Bce-Eba. Ma nei primi incontri i banchieri hanno fatto muro, forse temendo di scoprire troppo le future strategie, in un momento di svolta in cui si compirà un colossale ricalcolo dei multipli delle azioni bancarie. Le autorità vorrebbero che oltre al peso di Aqr e stress test le singole banche dicessero al mercato cosa hanno fatto fin qui e come intendano rimediare, in caso di deficit.

Le azioni correttive saranno però oggetto del secondo stadio verso la vigilanza unica. Per quelle derivanti da carenze di copertura degli attivi (Aqr) ci sono sei mesi di tempo, per quelle derivanti da stress test il tempo sarà maggiore, come lo spettro dei rimedi. Cosa accadrà? Le ipotesi sono difficili, anche perché non è da escludere una gestione “politica” dei risultati finali dei test, per sistemare partite sospese tra le autorità di vigilanza nazionali e gli istituti (le possibili deroghe ed eccezioni ai corposi manuali dei test fioccano, si racconta). È probabile che nuove fusioni bancarie si affaccino, come scritto. Ma nessuna fusione, specie tra istituti deboli, ha come magico effetto il rafforzamento patrimoniale dell’aggregato.

Per questo gli operatori ritengono che le fusioni potranno avvenire solo a corredo di operazioni di rafforzamento. Tra queste, altri aumenti di capitale, per vecchi e nuovi azionisti (anche perché sarebbe arduo coinvolgere soci sempre più indeboliti e vincolati come le Fondazioni). Le fusioni a venire sono anche un elemento che l’Abi sta considerando per siglare il nuovo contratto nazionale di lavoro, per negoziare il quale ha chiesto una proroga di cinque mesi dal 30 settembre. I banchieri stimano un’eccedenza di 12mila dipendenti per il sistema italiano, e di 1.300 sportelli.

I sindacati annunciano già nuovi scioperi. Anche i cambiamenti della corporate governance potrebbero contribuire alle integrazioni e ai rafforzamenti a venire: un precedente già c’è, con la Banca popolare dell’Etruria che ha accettato la trasformazione in spa (pur di non finire tra le braccia della Popolare di Vicenza, va aggiunto) e invogliare un compratore strategico. La riforma delle popolari invocata ancora a luglio dal governatore Ignazio Visco, specie per le maggiori e nell’ottica di superare il voto capitario - potrebbe renderle più aderenti al nuovo scenario. Altra cosa sarà capire se l’anno zero delle banche europee rilancerà l’offerta di credito, specie nei paesi come l’Italia in cui questa è compressa da anni.

Ci vuole anche la domanda, si giustificano i banchieri. Al di là di questo, è dimostrato dalle serie storiche come in questi cinque anni il credito si sia ridotto sensibilmente, e ancora del 2,8% nel dato Abi di agosto. La tendenza reale è vicina allo zero, non certo in ripresa. La seconda asta Tltro di dicembre sarà un segnale, dopo il passo falso della prima giorni fa, che ha visto richieste ai fondi Bce per soli 82 miliardi (28 dall’Italia). Si parla tanto di debancarizzare l’industria nazionale, un po’ sta accadendo ed è un percorso salubre, se affianco si rafforzano le altre forme di finanziamento.

Ma è certo che finché le banche non riprenderanno a erogare credito quello buono, che frutta ed è ripagato - faticheranno a rialzarsi da una redditività media (Roe) sprofondata all’1%. Dai grafici si evince con tutta evidenza il crollo della redditività del sistema bancario italiano Nella foto qui sotto, a sinistra Federico Ghizzoni e a destra Carlo Messina, numeri uno rispettivamente di Unicredit e Intesa: le due principali banche italiane dovrebbero aver superato i test della Bce

(29 settembre 2014)