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Due ragioni (e una condizione) per nazionalizzarla

L’ultima novità dal fronte Monte Paschi è la richiesta della Confindustria di Siena alla Cassa depositi e prestiti di salvare MPS...

Due ragioni (e una condizione) per nazionalizzarla

Da Il Sussidiario.net


L’ultima novità dal fronte Monte Paschi è la richiesta della Confindustria di Siena alla Cassa depositi e prestiti di salvare Mps: “Riteniamo più consono che la Cdp, attraverso il Fondo strategico italiano, investa in un asset strategico del Paese, per l’appunto la terza banca italiana, piuttosto che rincorrere aziende del lusso o di altri settore comunque non strategici”.

Confindustria Siena chiede anche “di non rischiare di consegnare la più antica banca del mondo al controllo del capitalismo finanziario internazionale” e di “ rinviare di alcune settimane l’assemblea per favorire una soluzione della crisi”.

L’intervento di Confindustria Siena merita una piccola premessa che risponda almeno a due domande, e cioè di che crisi si parli e di che assemblea.

La crisi è quella della terza banca del Paese che deve fare un aumento di capitale da 3 miliardi di euro capitalizzando poco più di 2, con il principale azionista, la fondazione Mps con il 33,4%, che non ha le risorse per sottoscrivere la propria quota dell’aumento.

L’assemblea è quella convocata per il 27 dicembre per approvare l’aumento da effettuare nel primo trimestre del 2014. La fondazione Mps per guadagnare tempo ha chiesto che l’aumento venga finalizzato nel secondo trimestre.

I conti sono però presto fatti: l’aumento di capitale è di un importo tale che, considerando anche lo sconto con cui normalmente i titoli vengono offerti in aumento, la quota della fondazione si ridurrebbe ben al di sotto del 5%. In pratica, la fondazione non avrebbe quasi più alcun controllo sulla banca e sarebbe poi alle prese con i propri debiti.

La fondazione potrebbe vendere tutta la sua partecipazione e incassare circa 700 milioni per poi usare queste risorse in aumento e rimanere azionista con una quota comunque significativa (probabilmente circa il 15%).

Ma evidentemente, altrimenti sarebbe già stato fatto, questo piano non è attuabile, anche perché chiunque volesse comprare il 33,4% dalla fondazione lo farebbe per poi avere il controllo della banca senza doverlo condividere, perché tutti sanno che la fondazione si trova nella scomodissima posizione del venditore obbligato (e quindi nessuno è obbligato a farle un favore), perché sui diritti dell’aumento non ci sarebbepoi nessuna prelazione a favore della fondazione e infine perché il tempo è finito. Insomma, anche “comprando” tempo con il rinvio dell’assemblea i problemi probabilmente non si risolverebbero.

Da qui, secondo il semplice buon senso, arriva la richiesta della Confindustria Siena al governo.

Esaminiamo quindi le due ragioni che adduce l’associazione degli industriali.

È vero che la terza banca italiana è un “asset strategico” per il sistema Paese?

La risposta è con ogni probabilità affermativa, soprattutto in una fase così delicata per le imprese che chiedono finanziamenti e per uno Stato che ha un bisogno enorme di vendere a qualche amico il proprio debito (la banca è in proporzione, forse, la più grossa detentrice di debito pubblico italiano).

L’intervento dei governi nelle banche in difficoltà non è una specialità dei paesi con un capitalismo “immaturo” o imperfetto ed esempi di nazionalizzazione si trovano in tutta Europa, a partire dall’Inghilterra, oltre che dall’altra parte dell’Atlantico in quelle che sarebbero le patrie del capitalismo.

La presenza di player esteri nel mercato finanziario italiano è consistente e superiore a quella delle principali economie dell’area euro. Tutto questo a testimonianza del fatto che la strategicità delle banche non è un concetto indigeno, né particolarmente eccentrico nel mondo civilizzato.

È vero poi che esiste il rischio che il controllo della banca venga ceduto al capitalismo finanziario internazionale? Certamente sì, perché in sede di aumento si possono costruire in modo facile e conveniente partecipazioni di controllo e i fondi che metteranno un gettone sul Monte dei Paschi lo faranno solo in un’ottica finanziaria di breve periodo (non c’è niente di male) per poi consegnare le partecipazioni a chiunque paghi la cifra che massimizzi i rendimenti.

Ripetiamo che in questo contesto di brutale restringimento del credito, di debitostatale che non cala, consegnare la terza banca del Paese con i risparmi che contiene a un investitore ignoto a cui non importa particolarmente delle prospettive economiche di medio lungo termine italiane o che magari le subordina ad altre priorità (pensiamo magari a una banca estera che fa la parte preponderante del business in un altro Paese e preferisce rimanere in buoni rapporti con un altro governo e un altro sistema) non sia esattamente il migliore degli scenari possibili.

Se intervento del governo deve essere però e se le ragioni per cui lo si invoca sono quelle del sistema Paese chiedendo, in sostanza, i risparmi dei contribuenti, allora non si guardi in faccia a nessuno degli azionisti attuali e si pensi solo al bene della banca, dei cittadini e dei loro risparmi; soprattutto, non si guardi a quegli azionisti che hanno controllato la banca portandola in questa situazione.