Un piano B per far digerire il risanamento UE
Dopo le critiche del commissario Almunia, si ipotizza lo scorporo di parte degli sportelli fuori dalla Toscana, per poi cederli a terzi
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L’Axa si chiama fuori: è il partner estero più forte del gruppo Mps, di cui ha il 2,5 per cento, considera strategica l’alleanza senese, macina utili (139 milioni nel 2012) con la joint-venture Axa-Mps, ma non vuole crescere nel capitale dell’istituto. Alla larga dalle banche, dicono a Parigi. Quel nuovo socio «non concorrente» auspicato dal presidente dell’Mps Alessandro Profumo non sarà lei.
E non sarà facile trovarne un altro: "Dovremo vedere cosa sarà fattibile" ha ammesso, realisticamente, lo stesso banchiere. Fondi sovrani, magari i soliti arabi, già cooptati da Profumo nell’Unicredit? Private equity internazionale? Forse sì, ma certo non aiuta la stangata di Joaquin Almunia: "Il piano Mps è troppo morbido e va irrobustito" ha scritto il commissario Ue alla concorrenza al ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni. E ha pure criticato i livelli di premio per i compensi del management: l’amministratore delegato Fabrizio Viola ha guadagnato nel 2012 oltre 1,5 milioni (mentre Profumo si è limitato a meno di 100 mila euro).
A Siena ora c’è chi pensa, negli ambienti politici vicini a una fondazione vinta ma non defunta, a un piano B. Si pensa cioè anche alla possibilità di scorporare dal gruppo Mps una larga fetta degli sportelli esterni al territorio toscano, come ha fatto la genovese Carige con le sue filiali fuori della Liguria, conferirli in una newco, magari riesumando lo storico marchio della Banca Toscana, fagocitata dal Monte nel 2009, e poi cederli a terzi, lasciando quindi sotto il controllo della fondazione una banca più piccola ma senza debiti.
Una specie di ritorno al passato, e questo spiace a tutti, ma anche all’autonomia in quell’ambito circoscritto e ricco, il Senese e la Maremma, che sei secoli fa costituì la ricchezza del Monte Pio e la base del successivo boom.