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La Fondazione bloccò la fusione con Antonveneta

Il «piano B» scartato perché avrebbe diluito la quota dell'ente. Dal fronte sindacale arriva un "no" compatto a nuovi sacrifici per i dipendenti.

La Fondazione bloccò la fusione con Antonveneta

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Sole 24 Ore di oggi - che ringraziamo - esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di questo sito, che rimane autonoma ed indipendente.


«MPS, la Fondazione bloccò la fusione con Antonveneta»

Il «piano B» scartato perché avrebbe diluito la quota dell'ente

Sara Monaci

Per il Monte dei Paschi di Siena c'era un piano B su Antonveneta. Nel giugno 2007, pochi mesi prima dell'accordo col Santander per l'acquisizione di Antonveneta, si stava lavorando tra Siena e Roma a una possibile fusione tra la banca senese e la banca padovana.

Fusione che per MPS sarebbe stata a costo zero. Ma la storia, come sappiamo, andò diversamente: a questo progetto fu preferita una compravendita per 9,3 miliardi. E a deciderlo fu l'allora presidente di MPS Giuseppe Mussari, che dopo aver rapidamente riflettuto sull'idea, decise di fare diversamente e cambiare i piani.

La storia della fusione mancata emerge dagli atti dell'inchiesta su MPS e l'operazione Antonveneta, chiusa due giorni fa dai procuratori Nastasi, Natalini e Grosso.

Questo il retroscena: Ettore Gotti Tedeschi, ex presidente dello IOR e responsabile per 20 anni in Italia del Santander, mise in contatto Mussari con il numero uno della banca spagnola, Emilio Botin. E così si cominciò a parlare di unire le due banche. Spiega Gotti Tedeschi ai pm il 31 gennaio 2013 che «solo dopo una fusione tra due banche si sarebbe potuto creare un terzo gruppo importante nel mercato».

Inoltre «la fusione – prosegue – avrebbe permesso di rimanere in Italia con una presenza strategica», spiega Gotti Tedeschi secondo quanto riportato negli atti delle indagini. Il manager parla di tre incontri con Mussari (uno nel maggio 2007 a Roma e due nel giugno 2007 a Siena). Dopodiché avvisa Botin di un possibile interessamento di MPS. Poi Gotti Tedeschi, Mussari e Botin si incontrano, a casa dello stesso Mussari, per parlare della fusione tra la banca senese e quella padovana.

Dopo poche settimane però Mussari cambia idea, spiegando che la Fondazione MPS, azionista di maggioranza del Monte, non è d'accordo perché l'operazione la costringerebbe a diluirsi nell'azionariato. Per rispettare quindi la volontà della Fondazione di mantenere il controllo, era quindi opportuno per Mussari procedere all'acquisto di Antonveneta, come riferisce agli inquirenti Gotti Tedeschi.

Il presidente del Monte, racconta ancora il manager ai pm, disse pertanto che era il presidente della Fondazione Gabriello Mancini a chiedere di bloccare la fusione. Nelle indagini emerge però a questo punto una contraddizione.

Mancini dice ai pm che Mussari non gli aveva mai riferito di tale progetto, e che pertanto lui non avrebbe impedito nessuna fusione. Il presidente della Fondazione racconta quindi ai pm che Mussari avrebbe avuto altri referenti politici, non necessariamente senesi: «Ha cordiali rapporti con Walter Veltroni», dice Mancini, mentre invece l'ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi «appartiene alla corrente di Massimo D'Alema».

Mancini parla anche di rapporti con il centrodestra, sottolineando che Mussari era in anche in contatto con il coordinatore del Pdl Denis Verdini.

Sempre Mancini, ascoltato il 31 gennaio 2013, aggiunge che era il presidente Mussari che decideva delle nomine nelle partecipate, sottolineando «l'ingerenza della politica nel mondo bancario».

In questo primo dossier su Antonveneta ci sono nove indagati, tra cui Mussari e l'ex dg Antonio Vigni, più altri sette manager bancari, tra dirigenti ed ex revisori dei conti. Si aggiungono anche le società Monte dei Paschi e Jp Morgan.

Quest'ultima è coinvolta (con un illecito amministrativo) per aver partecipato alla sottoscrizione delle obbligazioni emesse per finanziarie MPS senza aver appropriatamente comunicato le modalità tecniche dell'operazione, che facevano ricadere la responsabilità sul Monte in caso di mancato pagamento di cedole.

I reati contestati sono societari e finanziari: ostacolo alla vigilanza, manipolazione del mercato, falso in bilancio e in prospetto. Ma oltre a questo, i 40 fascicoli d'inchiesta comprendono anche verbali che danno l'idea di quale fosse il contesto socio-politico di Siena negli anni dell'acquisizione di Antonveneta, venduta dal Santander per 9,3 miliardi, a cui si aggiungono 8 miliardi di debiti "inattesi".

La lettera di Almunia Intanto sul terreno operativo della banca di Rocca Salimbeni, ci sono da registrare le reazioni sindacali e delle istituzioni regionali toscane alla lettera con cui il commissario europeo alla concorrenza, Jacquin Almunia, ha chiesto ulteriori sacrifici per dare il via libera definitivo agli aiuti di Stato italiani. «La lettera di Almunia pregiudica il futuro della banca», ha scritto a sua volta il presidente della Toscana, Enrico Rossi, rivolgendosi al premier Enrico Letta. «Il controllo pubblico non è di per sè un problema e la politica ha il dovere di occuparsi della vicenda», aggiunge Rossi.

Dal fronte sindacale arriva un "no" compatto a nuovi sacrifici per i dipendenti. «Condividiamo la sollecitazione a intervenire più incisivamente sui costi amministrativi e sulle consulenze, ma non siamo disponibili a accettare ulteriori tagli sui lavoratori», sottolinea il coordinatore FABI del gruppo MPS.

Il nuovo piano di ristrutturazione a cui sta lavorando l'amministratore delegato Fabrizio Viola, sarà pronto per fine mese.