Rassegna Stampa
Notizie su MPS dai quotidiani di oggi
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Mps: FMps, sì all'abolizione del tetto del 4%
La Fondazione Monte dei Paschi di Siena, all'assemblea di Banca Mps convocata per il prossimo 18 luglio, voterà a favore dell'abolizione dell'articolo 9, comma 1 dello statuto, che recita: "Nessun socio, ad eccezione dell'Istituto conferente, potrà possedere, a qualsiasi titolo, azioni ordinarie in misura superiore al 4% del capitale della Società.". La decisione è stata presa dalla Deputazione Amministratrice, dopo un approfondito esame delle ragioni che inducono ad abolire il vincolo.
La Fondazione Mps, nel decidere di votare a favore della soppressione di tale limite, ha valutato le ricadute potenzialmente favorevoli all'ingresso di nuovi investitori nella Banca, in linea con gli auspici formulati anche dall'Autorità di Vigilanza.
In tale prospettiva la Fondazione manifesta il proprio orientamento a consultare la Banca, nel rispetto delle reciproche autonomie, e fermo il principio di non ingerenza nelle scelte imprenditoriali, in vista di un'auspicabile ottimizzazione delle rispettive politiche di approccio al mercato, fermo restando, per la Fondazione, l'obiettivo primario di tutela del proprio patrimonio.
Inoltre la Fondazione dichiara la propria disponibilità, alla luce dell'importante svolta impressa alla logica partecipativa del capitale nella Banca, a farsi carico di un approfondimento sugli eventuali ulteriori sviluppi dell'impianto statutario che, anche a seguito dell'abolizione del vincolo partecipativo, potrebbero essere prospettati ai competenti Organi della Banca, beninteso nel rispetto delle prerogative della Vigilanza.
L'orientamento e la disponibilità così manifestati, si collocano, naturalmente, nell'ambito del rispetto dei vincoli e dei modi previsti dalla vigente normativa.
(RV)
MF-MILANO FINANZA MARTEDÌ 16 LUGLIO 2013
Fondazione Mps si piega al 4%. La deputazione amministratrice si è espressa a favore. L'esito dell'assemblea di giovedì è scontato e la politica ne esce ridimensionata. Intanto la Procura è alle prese con lo stop al sequestro Nomura
di Luca Gualtieri
In termini razionali era l'unica conclusione possibile, eppure i forti mal di pancia delle ultime settimane hanno fatto temere un esito diverso per la battaglia sul tetto al 4%. La modifica allo statuto del Monte dei Paschi sarà portata in assemblea giovedì, ma da ieri pomeriggio il risultato dell'assise è praticamente scontato.
La Fondazione Mps, azionista di maggioranza relativa dell'istituto al 34%, ha infatti espresso indicazione di voto favorevole dopo un lungo e travagliato dibattito interno. Da tempo la comunità locale mastica amaro per una scelta che rischia di privarla della principale istituzione cittadina. La politica ha dato voce a questa protesta e il neo sindaco Bruno Valentini ha cercato di comporre le forti divisioni, smussando le posizioni più populistiche in nome di un realistico senso di responsabilità. Così la mozione di maggioranza approvata venerdì 12 dal consiglio comunale chiedeva sostanzialmente alla banca di rimandare la modifica statutaria per far sì che la decisione venisse sottoposta al vaglio dei nuovi organi della Fondazione. La mozione serviva insomma un assist non di poco conto ai vertici di Palazzo Sansedoni tra i quali da tempo serpeggiavano forti perplessità sulla modifica statutaria. I mal di pancia avrebbero accompagnato anche la riunione di ieri della deputazione amministratrice, l'organo esecutivo dell'ente, all'interno della quale si sarebbe registrata qualche astensione.
Va da sé che un parere negativo avrebbe aperto un vulnus senza precedenti tra la banca e il suo azionista di maggioranza relativa, con esiti davvero imprevedibili. Alla fine, però, il presidente uscente Gabriello Mancini (l'incarico scade ad agosto) è riuscito a vincere le resistenze interne, garantendo voto favorevole alla modifica statutaria.
La Fondazione, spiega una nota, pure nel rispetto delle «reciproche autonomie e di non ingerenza nelle scelte imprenditoriali», intende consultare i vertici del Monte «in vista di un'auspicabile ottimizzazione delle rispettive politiche di approccio al mercato», anche se per l'Ente resta «fermo e primario» l'obiettivo di tutela del suo patrimonio. Infine, nella nota, si offre la disponibilità, «a farsi carico di un approfondimento sugli eventuali ulteriori sviluppi dell'impianto statutario che, anche a seguito dell'abolizione del vincolo partecipativo, potrebbero essere prospettati ai competenti organi della banca», nel rispetto delle prerogative della Vigilanza e anche «dei vincoli e dei modi previsti dalla vigente normativa».
Sempre ieri si è riunita anche la deputazione generale, l'organo di indirizzo dell'ente, che ha lavorato alla redazione di un documento riassuntivo sul lavoro svolto in questi anni e sui numerosi momenti di contrasto con la deputazione amministratrice e con il presidente Mancini. L'eliminazione del tetto al 4% per i soci diversi dalla Fondazione è pienamente appoggiato dalle autorità competenti, a partire dalla Banca d'Italia e dal Tesoro, senza dimenticare il sostanziale avallo della Commissione europea, che proprio in questi giorni sta esaminando il nuovo piano industriale di Mps.
Con il nuovo statuto e dopo il via libera della Ue sui Monti bond, la banca potrà concentrarsi sul piano industriale e sulla delicata fase di rilancio. L'attenzione maggiore andrà alla restituzione dei 3,9 miliardi di Monti bond emessi nel marzo scorso per sostenere la posizione patrimoniale della banca. Se Mps non riuscisse a onorare il proprio debito entro la prima metà del 2015, lo Stato potrà convertire le obbligazioni speciali in capitale della banca, arrivando all'82%.
Nel frattempo, dopo avere incassato il no del Riesame sul sequestro da 1,8 miliardi nei confronti di Nomura per usura e truffa aggravata, la Procura di Siena sta studiando alcune contromosse come un ricorso in Corte di Cassazione. (riproduzione riservata)
IL SOLE 24 ORE martedì 16 luglio 2013
Mps, la Fondazione dice addio al tetto del 4%. Guzzetti (Acri): risultato rispettoso della legge Ciampi. Faro ora sulla cessione delle quote (10-15%) della banca. SCELTA OBBLIGATA Modifica chiesta dal Governo che si è impegnato in tal senso con la Ue per avere il via libera alla sottoscrizione dei 4 miliardi di Monti bond.
Cesare Peruzzi
FIRENZE - La "normalizzazione" di Banca Mps è arrivata alle battute finali. Imposto dagli eventi, economici e giudiziari, il percorso imboccato dal gruppo senese (fino a un paio d'anni fa neppure ipotizzabile) giovedì 18 luglio segnerà una tappa fondamentale, quando l'assemblea straordinaria approverà l'abolizione dell'articolo 9, comma 1, dello statuto, quello che limita al 4% il diritto di voto degli azionisti diversi dalla Fondazione Mps. Il fatto straordinario è che proprio l'Ente presieduto da Gabriello Mancini ha deciso ieri (con 5 voti favorevoli, un astenuto e un assente) di appoggiare la proposta del consiglio d'amministrazione della banca.
Un sostanziale via libera in questa direzione era già arrivato venerdì scorso dal consiglio comunale. Siena cede pezzi di sovranità e abbandona il fortino dentro cui ha tenuto il Monte, cresciuto troppo o forse troppo in fretta per non risentire negativamente dei vincoli imposti da un azionista (la Fondazione appunto) che nel 2008, al momento dell'acquisto di Antonveneta, controllava quasi il 60% del capitale.
Banca grande, città piccola. Con questa definizione c'è chi spiega, sotto il profilo della filosofia di mercato, i guasti degli ultimi anni. Ma, per quanto coraggiosa, quella della Fondazione è stata anche una scelta obbligata: la chiedeva il Governo italiano, che s'è impegnato in tal senso nei confronti della Commissione europea per avere l'ok alla sottoscrizione dei 4 miliardi di Monti bond emessi da Rocca Salimbeni (teoricamente restituibili in azioni Mps, così come il pagamento degli interessi); senza più il vincolo di voto, inoltre, la Fondazione potrà collocare meglio sul mercato quel pacchetto di titoli Montepaschi (tra il 10 e il 15%) per fare cassa e chiudere l'esposizione finanziaria (350 milioni) nei confronti del sistema bancario. «La Fondazione Mps, nel decidere di votare a favore della soppressione dell'articolo 9 comma 1 ha valutato le ricadute potenzialmente favorevoli all'ingresso di nuovi investitori nella banca, in linea con gli auspici formulati anche dall'Autorità di vigilanza», spiega una nota dell'Ente di Palazzo Sansedoni. «In questa prospettiva, la Fondazione manifesta il proprio orientamento a consultare la banca, nel rispetto delle reciproche autonomia, e fermo il principio di non ingerenza nelle scelte imprenditoriali, in vista di un'auspicabile ottimizzazione delle rispettive politiche di approccio al mercato, fermo restando, per la Fondazione, l'obiettivo primario di tutela del patrimonio», dice ancora il comunicato.
Che prosegue: «La Fondazione dichiara inoltre la propria disponibilità, alla luce dell'importante svolta impressa alla logica partecipativa del capitale nella banca, a farsi carico di un approfondimento sugli eventuali ulteriori sviluppi dell'impianto statutario che, anche a seguito dell'abolizione del vincolo partecipativo, potrebbero essere prospettati ai competenti organi della banca, nel rispetto delle prerogative della Vigilanza». In altre parole, cancellato il tetto al possesso azionario, e soprattutto al diritto di voto, il gruppo di Rocca Salimbeni potrebbe anche valutare in futuro formule nuove per rassicurare il territorio, che sta vivendo in maniera traumatica questo passaggio.
L'assemblea di dopodomani sarà certamente infuocata, ma sull'esito non ci sono dubbi e il messaggio che la Fondazione lancia alla banca presieduta da Alessandro Profumo è sostanzialmente questo: ridisegnamo insieme la governance del Monte. Una posizione che conferma in modo netto la condivisione del percorso, già dimostrata in più occasioni nell'ultimo anno.
La Fondazione, il cui statuto rinnovato ha avuto l'apprezzamento di Giuseppe Guzzetti, presidente dell'Acri («È rispettoso della legge Ciampi», ha detto ieri), punterà a fare cassa nei prossimi mesi, prima che la banca guidata dall'amministratore delegato Fabrizio Viola lanci l'aumento di capitale da un miliardo (senza diritto d'opzione) già votato, affidato in delega al cda e previsto nel 2014. A quel punto l'assetto azionario risulterà largamente ridisegnato. E nessuno potrà più parlare di "anomalia senese" per la terza banca del Paese.
IL SOLE 24 ORE martedì 16 luglio 2013
La Procura prepara il ricorso sul caso Nomura. LA MOSSA I Pm si rivolgeranno alla Cassazione proponendo obiezioni di tipo formale: si farà leva sul pericolo del mancato provvedimento. ANTONVENETA Entro fine mese attesa la chiusura del fascicolo sull'acquisizione della banca padovana
Sara Monaci
MILANO - La procura di Siena prepara il ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale del Riesame, che, relativamente all'inchiesta su Mps, ha respinto la richiesta di un maxi sequestro da 1,8 miliardi ai danni di Nomura. I pm Nastasi, Natalini e Grosso nella loro ricostruzione hanno messo in evidenza il ruolo delle banche straniere nell'accumulo di grosse perdite nelle casse di Mps, e nelle conseguenti falsificazioni di bilancio. In particolare, per quanto riguarda il filone d'inchiesta relativo ai derivati sottoscritti da Mps con Nomura (e con Deutsche bank), a inizio maggio hanno accusato i massimi vertici europei della banca giapponese di aver commesso i reati di usura e truffa aggravata ai danni del Monte, chiedendo pertanto il sequestro urgente di 1,8 miliardi, rappresentati dai costi di marginazione e dai costi occulti.
Il giudice per le indagini preliminari, poche settimane dopo, non ha però convalidato l'accusa, fermando il sequestro. E sabato scorso è arrivata la notizia che anche il tribunale del Riesame, a cui i procuratori si erano appellati contro la decisione del gip, hanno confermato lo stop al provvedimento.
I pm, dopo la decisione negativa del gip, avevano alleggerito le accuse per l'appello al Riesame, eliminando gli ex vertici di Mps (l'ex presidente Mussari, l'ex dg Vigni e l'ex capo dell'area finanza Baldassarri) dalla lista di coloro che avevano commesso usura e truffa, come complici dei vertici di Nomura. Per i giudici Benini, Bagnai e Valchera non sussistono però nessuno dei due reati neppure per Nomura: non ci sarebbero riscontri di usura perché le commissioni applicate rientrerebbero tra le prerogative di una banca che rinegozia un derivato; non ci sarebbe truffa perché alcuni manager di Mps (e Bankitalia) avevano capito che la rinegoziazione del derivato Alexandria serviva a coprire e spalmare le perdite già accumulate dal 2005, pari a 220 milioni.
Per i procuratori una doppia delusione dunque. Ora però stanno studiando l'ultima mossa: la Cassazione. In questo caso le obiezioni saranno di tipo formale e non di merito. Una delle questioni su cui gli inquirenti ipotizzano di fare leva è la pericolosità creata dal ritardo del provvedimento, tecnicamente definita "periculum in mora".
Si fa leva dunque sull'imminenza di un rischio. Nel documento del Riesame, infatti, si prendono in esame solo le accuse sollevate ai danni della banca giapponese e dei suoi vertici, il cosiddetto "fumus commissi delicti", ma non la questione dell'urgenza del sequestro richiesto.
Questo "vizio" di forma, sperano i pm, potrebbe spingere i giudici della Cassazione a riaprire il caso. La decisione verrà presa questa settimana. Nonostante questa battuta d'arresto sul fronte del dossier sui derivati sottoscritti da Mps, per fine mese i pm dovrebbero chiudere il fascicolo relativo a Antonveneta.
La banca senese acquisì nel 2008 la banca padovana dal Santander per 9,3 miliardi, a cui vanno aggiunti 8 miliardi di debiti da saldare in tempi rapidi, senza cioè attendere il rientro progressivo delle linee di credito dell'istituto. Per realizzare questa operazione gli ex vertici Mps, secondo gli inquirenti, avrebbero compiuto finti aumenti di capitale, commettendo i reati di ostacolo alla vigilanza, manipolazione del mercato e falso in prospetto. A settembre inoltre, per quanto riguarda l'ostacolo alla vigilanza (sul fronte derivati), sono previsti i riti immediati per Mussari, Vigni e Baldassari.
CORRIERE DELLA SERA martedì 16 luglio 2013
Debiti da onorare e squadra in serie B La nuova Siena senza Monte dei PaschiCambia lo statuto che garantiva alla Fondazione il controllo della banca
di SERGIO RIZZO
DAL NOSTRO INVIATO a SIENA — «This is the oldest italian bank, was founded in fourteenseventytwo, when Leonardo Da Vinci painted "L'Annunciazione"…». Banchi di Sopra, un caldo pomeriggio di luglio. Nella Babele umana che sciama nelle strade intorno a piazza del Campo, la guida spiega che vent'anni prima della scoperta dell'America i senesi avevano già una loro banca. Gli occhi di una ventina di anziani turisti americani, tutti con il cappellino giallo, scrutano silenziosi e increduli il palazzo che affaccia su piazza Salimbeni dove c'è scritto: Monte dei Paschi di Siena. Senza sapere che sta per cambiare tutto. La notizia è che a Siena niente sarà più come prima.
C'è chi può giudicare il termine «divorzio» un po' eccessivo, anche se ieri è finito un pezzo di storia. Soltanto fino a qualche mese fa sarebbe stato impensabile per la Fondazione mettere in discussione il proprio ruolo di azionista di controllo del Monte dei Paschi. Peggio: una bestemmia in chiesa. Ma la tempesta che si è abbattuta sulla banca, sulla città e sul Partito democratico non lasciava alternative alla rottura del cordone ombelicale fra il Monte e la Fondazione, cioè la politica.
L'ultimo schiaffo è arrivato con la decisione del tribunale di respingere la richiesta di sequestro di 1,8 miliardi alla giapponese Nomura, la banca con cui il Monte aveva stipulato il contratto sui derivati dello scandalo che ha travolto l'ex presidente Giuseppe Mussari e un gruppo di alti dirigenti dell'istituto. Così la giornata di lunedì 15 luglio sarà ricordata per la caduta dell'ultimo tabù: il vincolo che impediva ai soci privati di esercitare diritti di voto superiori al 4 per cento.
Per sperare nel risveglio del titolo in borsa e invogliare qualche compratore (italiano? straniero?) a farsi avanti non c'era altra strada. Con lo sconsiderato acquisto della Banca Antonveneta la Fondazione si è svenata: prima ha messo sul piatto tutti i soldi che aveva. Poi si è indebitata per un altro miliardo, nel tentativo di mantenere il controllo del Monte.
E adesso che la situazione è ormai precipitata, da ricchissima che era, le sono rimasti sul groppone debiti per 440 milioni. Novanta soltanto sono gli impegni già assunti che non ha potuto onorare, per mancanza di soldi. Dieci al Comune, 25 alla Provincia…
Bei tempi, quando la Fondazione Montepaschi era il bancomat del territorio: un miliardo distribuito in dieci anni. Peccato che siano irrimediabilmente finiti. Non bastassero i debiti, c'è anche la crisi della controllata Siena Biotech, nonché la situazione della società immobiliare Sansedoni alle prese con un indigesto affare immobiliare a Roma nella zona di Casal Boccone ereditato dal gruppo Ligresti.
Insomma, un macello.
Quell'ente controllato finora dal Comune e dagli enti locali, quindi dalla politica, per onorare gli impegni dovrà intaccare la propria quota che ora è del 35 per cento. Ed è chiaro che gli resteranno briciole. Il dieci, il cinque per cento: se non un divorzio fra la città e la banca, qualcosa che gli assomiglia molto. Eppure c'è stato chi ha provato a resistere fino alla fine.
Qualche giorno fa in consiglio comunale è arrivata una mozione che chiedeva di rinviare la decisione. Autori, due consiglieri dell'area del Pd che fa riferimento al presidente del consiglio regionale toscano Alberto Monaci, capo degli antidivorzisti. Ma a nulla è valso nemmeno il sostegno dei grillini. Perfino il presidente uscente della Fondazione Gabriello Mancini, inossidabile monaciano, ha preso atto che non aveva senso scavare altre trincee, arrivando addirittura a farsi lui promotore dell'abolizione del 4 per cento. Proprio come voleva Alessandro Profumo.
Il presidente del Monte, strenuamente sostenuto lo scorso anno dall'ex sindaco Franco Ceccuzzi, aveva minacciato le dimissioni se quel vincolo non fosse caduto. Ben sapendo che l'esito del braccio di ferro, nell'uno o nell'altro senso, avrebbe avuto conseguenze incalcolabili. Sul nome di Profumo e sul terremoto che il suo arrivo avrebbe potuto provocare (e ha provocato) negli equilibri di potere, si è consumata una lunga e logorante guerra di posizione.
Ceccuzzi ci ha rimesso il posto da sindaco, tanto era granitico il muro contro cui è andato a sbattere dopo essere stato per anni dalla stessa parte, anch'egli paladino della senesità della banca: mezzo Pd, l'opposizione, i sindacalisti della Fisac-Cgil... Per non parlare di tutto quel mondo i cui interessi da decenni ruotano intorno alla banca.
Su otto candidati sindaci alle elezioni comunali di maggio, sette erano apertamente contro Profumo. Compreso il nuovo sindaco pd, Bruno Valentini, dipendente del Monte come molti suoi predecessori, renziano. Così renziano da sentirsi fin troppo a suo agio, sostengono i maligni, sotto l'ala protettrice del sindaco di Firenze piuttosto che sotto quella di Monaci, che pure l'aveva appoggiato nella corsa al Comune. E che da tutta questa battaglia esce sconfitto.
Sconfitto lui, ridimensionata l'influenza di sua moglie Anna Gioia sull'azienda sanitaria dopo l'arrivo del nuovo direttore sanitario Pierluigi Tosi, e frustrata a quanto pare perfino una piccola aspirazione del di lei figlio della precedente unione Alessandro Pinciani, vicepresidente della Provincia di Siena. Lo davano per sicuro assessore al Comune, ma Valentini evidentemente non era dello stesso avviso.
La prossima prova per il sindaco è in programma il 2 agosto. Quel giorno si dovrà procedere alle nomine della Fondazione, con le nuove regole. Finora i rappresentanti degli enti locali erano ben 14 su 16 membri: il solo Comune aveva otto poltrone, la metà. Adesso sono invece sette su quattordici, e al Comune ne spettano appena quattro. Boccone decisamente amaro per i politici che l'hanno dovuto mandar giù, appena mitigato dall'obbligo, per quei quattro, della residenza a Siena. Per quanto non è detto che il presidente debba essere scelto fra di loro.
Potrebbe toccare ad Alessandro Piazzi, amministratore delegato della Estra, multiutility di Siena, Prato e Arezzo, cresciuto alla scuola dell'ex ministro pidiessino Luigi Berlinguer. Oppure all'ex presidente della Banca Pierluigi Fabrizi. Ma si fa anche il nome del pisano Divo Gronchi, ora alla Cassa di risparmio di San Miniato. E quante chance ha il capo del comitato elettorale di Valentini, Giovanni Minnucci? In ogni caso, per il sindaco sarà una scelta cruciale. Anche se di soldi non ce ne sono più, la Fondazione resta il cuore di una città stremata e disorientata.
Cinquantatremila abitanti, cinquemila dipendenti del Monte, 700 impiegati comunali, l'università in difficoltà, la disoccupazione che aumenta, un turismo che non si ferma. Una città che forse più di ogni altra, oggi, è la fotografia dell'Italia di oggi. Meravigliosa, che tutto il mondo invidia, ma dilaniata dalle beghe interne e dall'incapacità della politica di affrontare i problemi.
E dove le tensioni finiscono per scaricarsi sullo sport. L'hanno toccato con mano, Profumo e l'amministratore delegato della banca Fabrizio Viola, aggrediti verbalmente da un gruppo di tifosi infuriati perché il Monte dei Paschi ha chiuso i rubinetti. La squadra di calcio è finita in serie B e non potrà più contare sugli 8 milioni di sponsorizzazione che ogni anno garantiva la banca.
Ovviamente, oltre alle linee di credito. La Ac Siena, cui partecipa indirettamente con una piccola quota anche la Fondazione Monte dei Paschi, è di proprietà dei costruttori Mezzaroma attraverso Progetto Siena, di cui controllano l'84 per cento: quota che risulta interamente in pegno alla banca Monte dei Paschi.
E il basket? Dal 2014 anche la Mens Sana, squadra di basket che ha appena vinto l'ottavo scudetto, il settimo consecutivo, dovrà fare a meno della sponsorizzazione della banca, già ridotta a un paio di milioni dagli otto che incassava un tempo, esattamente come il club calcistico. Basterà cedere i pezzi pregiati, come sta già avvenendo, per far quadrare i conti? Forse. Ma non per il nono scudetto, temiamo...