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L'illegalità era un sistema ai massimi livelli

Soldi per i broker, potere e immagine per i vertici. Ecco come agiva la "banda del 5 per cento"

L'illegalità era un sistema ai massimi livelli

Da Il Cittadino On Line


Di Red

SIENA. “C’era un sistema win-win in Monte Paschi: si vince e si incassa anche quando l’operazione (per l’area finanza della banca diretta da Baldassarri) è un disastro” e tutto questo succedeva nella sede milanese di Via Zara dove c’è la sala operativa finanziaria di MPS. I senesi si credevano padroni della banca più antica del mondo ma non vedevano niente laggiù in Toscana e non sapevano niente di quanto combinasse la dirigenza della coppia Mussari-Vigni. Due personaggi che in realtà non rappresentavano il territorio ma erano prestanome di una governance che era altrove, a Roma per l’aspetto politico, a Milano per quello finanziario. Messi là col solo scopo di mantenere le rendite di posizione e di agire di conseguenza in caso di crisi che potesse ledere l’immagine vincente della “Siena rossa” del partito che fu. Nuove rivelazioni sono sull’ultimo numero dell’Espresso a firma Gianfrancesco Turano che racconta di un gruppo di lavoro a Milano incaricato di spericolate operazioni finanziarie a coprire nell’ordine il derivato Alexandria, la mancanza di utili alla banca gestita con i piedi mentre il Mussari volava alal presidenza dell’Abi, la crisi di liquidità derivante dai 17 miliardi dell’acquisto di Antonveneta (non 10 come scrive Turani, ed è bene essere sempre precisi) e lo strangolamento dell’operatività e del credito a imprese e famiglie.

Un ramo dell’inchiesta dei Pm Natalini, Nastasi e Grosso, su cui arrivano le dichiarazioni di un anonimo che faceva parte del gruppo di Via Rosellini a Milano, deve “determinare se i vertici di MPS, Mussari e Vigni, abbiano in prima battuta ordinato a Gianluca Baldassarri di usare la sala operativa e gli strumenti finanziari più sofisticati per mettere al bello i bilanci. In seconda battuta, va provato che Baldassarri abbia unito il dovere verso i superiori con il piacere di concedersi qualche profitto al di là dei bonus, già molto consistenti”. No sappiamo per il giudizio civilistico, ma per quello morale la condanna è pressoché unanime, anche tra i beneficati dal regime. Perché Turani, tutto concentrato sull’aspetto giudiziario, non potrà mai sapere delle persone zittite con la prepotenza, della paura di essere isolati e colpiti dalla vendetta del potente di turno per aver espresso dubbi o giudizi negativi, su chi riceveva finanziamenti per scrivere “bene” sempre e comunque, su direttori di giornale licenziati in tronco per un articolo che non è piaciuto. Ma questa è l’Italia, non solo Siena.

Ci rimane sempre la speranza che sia chiamato a testimoniare Mario Draghi. La ricostruzione dell’anonimo, che nell’articolo viene chiamato affettuosamente “Banker”,in una lettera intitolata "Come lavora la proprietà de Monte dei paschi di Siena" spiega: “Per usare un paragone con le imprese industriali, diciamo che MPS aveva un magazzino sopravvalutato di parecchie centinaia di milioni per volontà strategica dell’alta dirigenza. Non se ne sono accorti, nell’ordine, sindaci revisori, Consob, Bankitalia e agenzie di rating”. C’è sempre da capire il perché, e probabilmente ne erano tutti consapevoli. Nel Monte si era creata una leva finanziaria per spostare nel tempo la scoperta delle magagne, sperando che l’economia crescesse all’infinito per finanziare i prodotti strutturati che sarebbero apparsi in catena di montaggio all’infinito. Le modalità inconsuete e irrituali della compravendita di Antonveneta, in un momento del 2007 in cui la shadow banking Blackrock sarebbe stata fortemente esposta con Santander (e oggi è il principale azionista di Monte dei Paschi) che si ritrovava in pancia la banca padovana ridotta dagli olandesi di Amro in una scatola piena di debiti, devono trovare una spiegazione logica e responsabile da parte dell’allora presidente della Banca d’Italia, che lasciò Mussari a chiudere l’operazione con Emilio Botin nel maggio 2008 senza autorizzazione del’istituto centrale, perchè quella emessa nel marzo precedente non era stata rispettata.

Il 28 settembre 2012, Anna Maria Tarantola (nel 2008 responsabile Area Vigilanza di Banca d’Italia) viene interrogata dai pubblici ministeri Antonio Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grossi come testimone. E dichiara, come riporta Sarzanini sul Corriere della Sera: «Per quanto concerne l'operazione di rafforzamento patrimoniale relativa all'aumento di capitale di un miliardo si poneva il problema della computabilità dell'operazione nel core capital (patrimonio di vigilanza ndr ). Per riconoscere tale strumento nel capitale primario era necessario che fossero garantiti il trasferimento del rischio di impresa e la flessibilità dei pagamenti. Nel marzo del 2008 venne rilasciata l'autorizzazione all'acquisizione di Antonveneta a condizione che tutte le operazioni di rafforzamento patrimoniale fossero realizzate prima dell'acquisizione, con particolare riguardo al rafforzamento patrimoniale dedicato a Jp Morgan che i contratti prevedessero i due requisiti accennati». Tarantola evidenzia «una comunicazione del settembre 2008 con cui si rendeva noto a Mps che l'operazione così come strutturata non poteva computarsi nel core capital poiché il contratto di usufrutto non garantiva la flessibilità dei pagamenti e non vi erano sufficienti garanzie sul trasferimento del rischio di impresa. Si invitava pertanto Mps a considerare tutte le possibili opzioni per consentire il rafforzamento patrimoniale richiesto. In caso di modifica della contrattualistica si richiamava il connesso rischio legale». Ma a settembre 2008 i bonifici di Mussari a Botin erano volati via senza possibilità di ritorno: nessuno pagò le conseguenze al fatto di non aver ottemperato alle prescrizioni della banca centrale, era tutta una finta.

Da International Business Times


Scandalo MPS: ecco come agiva la "banda del 5 per cento"

Di Davide Iandiorio 

Un testimone dell'inchiesta sul crac MPS ha parlato apertamente. E sono dichiarazioni al vetriolo quelle pubblicate in esclusiva da L'Espresso, certamente destinate a rifocillare di polemiche la spinosa vicenda del Monte dei Paschi di Siena che, ricordiamo, ha toccato l'apice nel febbraio 2013, quando Gianluca Baldassarri, capo della finanza MPS, è stato arrestato per associazione a delinquere e truffa, poiché arricchitosi alle spalle di una banca in piena crisi e per la quale il governo Monti fu costretto ad emettere 4,07 miliardi di obbligazioni, pur di evitarne il fallimento totale. Ora il testimone (che ha preferito rimanere anonimo) spiega il funzionamento di questa segreta associazione bancaria senza scrupoli.

Un testimone dell'inchiesta sul crac MPS ha parlato apertamente. E sono dichiarazioni al vetriolo quelle pubblicate in esclusiva da L'Espresso, certamente destinate a rifocillare di polemiche la spinosa vicenda del Monte dei Paschi di Siena che, ricordiamo, ha toccato l'apice nel febbraio 2013, quando Gianluca Baldassarri, capo della finanza MPS, è stato arrestato per associazione a delinquere e truffa, poiché arricchitosi alle spalle di una banca in piena crisi e per la quale il governo Monti fu costretto ad emettere 4,07 miliardi di obbligazioni, pur di evitarne il fallimento totale. Ora il testimone (che ha preferito rimanere anonimo) spiega il funzionamento di questa segreta associazione bancaria senza scrupoli.
 

La "banda del 5 per cento". È così che è stato rinominato questo gruppo di persone, che è finito nelle mire dalla Procura di Siena. Un gruppo composto da una quindicina di persone che, tra il 2009 e il 2011, avrebbe messo mano su decine di miliardi di euro, muovendo oltre 100 milioni al giorno. La sala operativa si trovava in un palazzone a Milano, al cui interno "c'erano tutte le condizioni ideali per disperdere le tracce": nessuna telefonata registrata, nessun badge per entrare e uscire, possibilità di utilizzare il proprio cellulare personale. A dirlo è l'anonimo testimone, che ha fatto parte di questa "banda" e che per questo è stato già ascoltato dagli inquirenti (non risulta tuttavia indagato). A capo della "banda" c'era Gianluca Sanna, ma sopra di lui c'era proprio Baldassarri, considerato un vero "squalo della finanza", unico arrestato degli 11 indagati nello scandalo MPS. Ma Baldassarri non avrebbe agito autonomamente, bensì avrebbe risposto agli ordini dei due vertici più importanti della banca senese: il presidente Giuseppe Mussari e il direttore generale Antonio Vigni.

I 3 pm senesi, Aldo Natalini, Antonio Nastasi e Giuseppe Grosso, non sanno ancora se Mussari e Vigni siano innocenti, complici, o peggio, mandanti, di Baldassarri nella truffa ai bilanci MPS. In altre parole, al momento non è ancora possibile determinare se Baldassarri rispondesse a degli ordini specifici dall'alto, o se il suo arricchirsi lo stipendio (già di suo molto alto) fosse dettato da un'iniziativa personale. Fatto sta che dalla casse della Banca senese sarebbero stati sottratti circa 90 milioni di euro. Il testimone comunque non ha dubbi: "Concordo sulla tesi che Baldassarri non agisse soltanto su iniziativa personale. Forse teneva qualcosa per sé ma non sarà facile dimostrare che i 20 milioni di euro dei suoi depositi siano frutto degli extraprofitti a margine dell'operazione Alexandria".

Alexandria è un CDO (Credit Default Obligation) squared da 400 milioni di euro. Fu varato nel novembre 2005 tra MPS, rappresentato da Baldassarri, e il venditore Dresdner Bank, rappresentato da Raffaele Ricci, capo vendite della banca tedesca. Come scrive L'Espresso: "Si rivelerà un asse tossico da manuale". In pratica Alexandria e altri asset simili inizieranno a rovinare i conti MPS, senza tra l'altro che nessuno se ne potesse accorgere, data la complessità (e la segretezza) di queste operazioni. Ma poco importa secondo il testimone: " In MPS vigeva un sistema win-win: si vince e si incassa anche quando l'operazione è un disastro".

Nel 2008 MPS dichiarava di chiudere con 953 milioni di profitti netti. Ovviamente il bilancio non rappresentava la realtà poiché, come detto, i danni provocati dagli asset come Alexandria venivano nascosti. Sempre a detta del testimone: "MPS aveva un magazzino sopravvalutato di parecchie centinaia di milioni per volontà strategica dell'alta dirigenza. Non se ne sono accorti, nell'ordine, sindaci, revisori, Consob, Bankitalia e agenzie di rating". Per non attirare l'attenzione, quindi, bisognava ingrossare il portafoglio della banca.

Ecco perché, dal 2009, l'attenzione si sposta sull'area dei titoli governativi. Dato che molti piccoli risparmiatori iniziarono a vendere BTP per paura del default del Paese, la sala operativa incriminata iniziò a comprare bond italiani con rendimento al 6%. Il lavoro della "banda" è meticoloso: "S'incomincia alle 8 di mattina con il briefing. Poi quando si apre alle 9, si deve guardare ogni scatto sui monitor, seguire 3 schermi tv e 2 radio. Ogni notizia può essere importante per comprare a un centesimo di meno o vendere a uno di più, perché si deve vendere, ogni tanto, per sviare la concorrenza". La "banda" lavora così bene che MPS accumula 32 miliardi di titoli governativi, quasi alla pari di Intesa SanPaolo e Unicredit. Ma l'operazione non è sufficiente e il rischio di essere scoperti diventa troppo alto. Bisogna quindi liberarsi di Alexandria.

Mussari, Vigni e Baldassarri trovano allora un accordo con la filiale di Londra della Nomura: l'asset tossico viene ceduto alla banca giapponese, in cambio di 3,5 miliardi di BTP con scadenza 2034, comprati da MPS a prezzi sopra mercato. Ma anche qui i movimenti anomali e ambigui aumentano i sospetti sull'operato dei vertici incriminati. Poco importa. E' da questo momento che tutti gli inquisiti avrebbero massimizzato i profitti personali a danno dei conti MPS, tenendo all'oscuro gli organi di controllo interni e la vigilanza di Bankitalia. Addirittura Mussari sarà premiato con la poltrona di presidente dell'ABI (Associazione Bancaria Italiana) a giugno del 2010.

Ma il 28 luglio 2011 qualcosa si rompe. Uno della "banda" decide di svelare la dannosa associazione e invia una lettera anonima alla Consob dove si fanno i nomi di Baldassarri, Mussari, Vigni e di tutte le persone coinvolte in queste operazioni rischiose e personalistiche, compiute ai danni del Monte. È l'inizio della fine. A marzo 2012 arriva l'ispezione di Bankitalia e si palesa una situazione drammatica. Quella che all'epoca è considerata una delle banche più forti e solide d'Italia, in realtà ha 4,69 miliardi di debiti, complice anche l'acquisto per 10 miliardi di euro della banca Antonveneta, nel maggio 2008, alla vigilia dello scoppio della crisi economica e bancaria. MPS necessita di un nuovo piano di riassetto (4.600 licenziamenti e 400 filiali chiuse entro il 2015) e procede a nominare il nuovo presidente, Alessandro Profumo. È per la drammaticità della situazione che allora Mario Monti decide di intervenire con i famosi Monti-bond, emessi in concomitanza con l'arresto di Baldassari, nel febbraio 2013. E ora si attende che il processo faccia maggiore chiarezza.