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Mps, così Pd e Pdl si spartivano le poltrone

Funzionava così: la sinistra locale decideva le nomine che poi passavano al vaglio dei vertici nazionali, fino all'ok della Presidenza del Consiglio.

Mps, così Pd e Pdl si spartivano le poltrone

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Affari Italiani - che ringraziamo - esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di questo sito, che rimane autonoma ed indipendente.


Quasi un manuale Cencelli in salsa finanziaria. Dopo l'apertura di un fascicolo sui presunti rapporti tra gli ex vertici di Banca Mps e la politica da parte dei magistrati della Procura della repubblica di Siena che seguono le inchieste sulla banca, cominciano a filtrare i primi particolari. Secondo quanto rivela il Corriere della Sera, all'interno dell'istituto le poltrone venivano divise più o meno equamente tra Pd e Pdl. Funzionava così: la sinistra locale decideva le nomine che poi passavano al vaglio dei vertici nazionali, fino all'ok della Presidenza del Consiglio. Naturalmente era il Pd a fare la parte del leone, ma doveva comunque trovare un accordo anche con il centrodestra.Una spartizione vera e propria spesso fatta senza tener conto delle competenze necessarie alla banca. Stando ai verbali depositati, il presidente della Fondazione Gabriello Mancini parla chiaro: "Era il presidente Giuseppe Mussari che decideva le nomine e mi informava. Il suo riferimento era Franco Ceccuzzi, di area dalemiana. Posso dire che aveva un cordiale rapporto anche con Walter Veltroni quando divenne segretario del Pd. Il punto di riferimento nel Pdl era l'onorevole Denis Verdini. Altra persona con cui aveva rapporti era Gianni Letta. Ricordo che Letta affermava che Mussari era il suo riferimento in banca, mentre io ero il suo riferimento in Fondazione".Altri dettagli li ha forniti ai magistrati Maurizio Cenni, sindaco di Siena dal 2001 al 2011. "Devo dire che le diverse anime dei Ds erano fortemente interessate alla gestione di Banca Mps. È sufficiente leggere i giornali dell'epoca per ricordare ciò che l'onorevole Vincenzo Visco o l'onorevole Massimo D'Alema, ad esempio, pensavano della banca. Affermavano che era antistorico che una realtà di soli 60 mila abitanti potesse gestire, attraverso gli enti locali, un gruppo bancario importante comne Mps. Affermavano che la banca doveva crescere, doveva acquisire altri gruppi bancari, essere più presente sul mercato italiano e internazionale. L'acquisizione di Antonveneta avviene anche in ragione della pressione psicologica che vi era sulla banca".Non solo Fabio Ceccherini, presidente della Provincia di Siena dal 1999 al 2009, ha parlato proprio delle nomine di Mancini a presidente della Fondazione e Mussari a presidente della banca, affermando di averne discusso "con Cenni, Ceccuzzi e con Franco Bassanini che era stato eletto nella circoscrizione di Siena e assieme all'onorevole Giuliano Amato erano quelli maggiormente attenti al territorio e alla banca. Ebbi colloqui anche con D'Alema che esprimeva perplessità sulla governance". Ceccherini chiarisce inoltre che "c'era interesse, ma non ingerenza da parte dei responsabili nazionali dei Ds in ordine alle scelte riguardanti la banca", ma aggiunge che proprio D'Alema "riteneva il sistema di nomine medievale perché troppo legato agli enti locali e auspicava un'apertura, un suo maggior radicamento sul territorio nazionale e una politica industriale che fosse più attenta alle esigenze del mercato". Agli atti dell'inchiesta c'è anche la bozza di un patto siglato tra Ceccuzzi e Verdini del 12 novembre 2008 per la spartizione delle poltrone. In calce ci sono i nomi, ma non le firme ed entrambi hanno dichiarato che "si tratta di una bufala". Solo che le 'regole' previste in quella bozza sono state confermate davanti ai magistrati da numerosi protagonisti come il senatore del centrodestra Paolo Amato che ai magistrati, parlando della nomina di Alberto Pisaneschi nel Cda di Mps in quota Pdl, dice: "Pisaneschi non è stato nominato da Verdini, ma è stato il frutto del 'groviglio armonioso' senese. Poi Verdini lo ha gestito". Una linea confermata da Mancini secondo il quale "per questa scelta è stato necessario l'avallo di Gianni Letta e il via libera finale di Silvio Berlusconi". E Mancini aggiunge: "Dopo l'acquisizione, la presidenza di Antonveneta venne affidata a Pisaneschi su indicazione di Mussari. Egli motivava questa sua indicazione con opportunità politica poiché Antonveneta aveva i suoi maggiori interessi in Veneto, regione a forte connotazione politica di centrodestra e dunque era opportuno che il presidente fosse della medesima area politica. Mussari mi disse di aver informato il presidente della Regione Giancarlo Galan dell'acquisizione di Antonveneta".

 


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politica, nps, nomine